Ogni giorno da te parto e a te ritorno, e quando a te
ritorno sento che mi accogli con un abbraccio caldo, e con quella confidenza
che mi permette di sentirmi libera. Via i tacchi, giù a piedi nudi, all’aria i
vestiti, e addosso della stoffa comoda e leggera, tanto tra me e te non ci sono
formalismi. Mi muovo nel mio territorio fatto di stanze colorate, che io ho
voluto, perché tu, casa mia, sei ciò che sono io. Nel bagno illuminato dai
bagliori del sole prima del tramonto mi rigenero, rinfrescandomi e togliendomi
di dosso le polveri e gli odori urbani, in camera da letto vengo accolta dalle
urla dei bambini che rimbalzano sul lettone, che fanno festa per il mio arrivo
e vogliono essere notati, innesco i profumi della cucina che provocano la fame
già latente, e mentre il piccolo urla di gioia dal seggiolone al vedere la sua
pappa, come un uccellino affamato, ci sediamo al tavolo tutti insieme e
cominciamo a parlare di lettere e di numeri, della parola di inglese appena
imparata e mi chiedete se è possibile salire in cima alla statua della libertà.
Tutti a mettere i pigiami, tutti nel lettone quando il sole
è ormai una palla rossa che va a nascondersi dietro il cupolone di Don Bosco, e
chiacchieriamo ancora, e facciamo gli indovinelli, e ci inventiamo le
barzellette, fino a quando mamma non sa più cosa farvi indovinare, fino a
quando siete stanchi, fino a quando nessuno parla più, pure al fratellino è
scivolato il ciuccio dalla bocca, e pure tu, casa, diventi priva di rumore, e
dormi, ed io, dopo una giornata di entropia metropolitana e mentale, mi sento ritornata alla mia posizione di equilibrio stabile, mi sento la pace dentro, e vorrei stare sempre così, serenità perpetua, mentre vedo uno spicchio di luna staccarsi da lì dove il sole era andato, pure lui, a dormire.
In questi giorni penso intensamente a chi non può avere più
fiducia nella propria casa, a chi si è ritrovato prigioniero di spazi non suoi,
a chi ha perso sé stesso.