lunedì 18 febbraio 2008

Un appello

Vi prego:
FACCIAMO LA RACCOLTA DIFFERENZIATA, SEPARIAMO I MATERIALI DI SCARTO E BUTTIAMOLI NEGLI APPOSITI CONTENITORI, ANCHE SE QUESTO COMPORTA UNO SFORZO ORGANIZZATIVO IN CASA.
I NOSTRI FIGLI CI RINGRAZIERANNO.

Munnezza e classificazione sociale

Ho sentito dire che, nei giorni dell’emergenza cronica a Napoli e provincia, la “munnezza” è riuscita ad invadere persino il centro del capoluogo: cumuli di buste e cartoni hanno sfregiato la bellezza di una città famosa in tutto il mondo. Tuttavia tre zone si sono rivelate completamente immuni dallo schifo:
la via di residenza del sindaco, quella del presidente della regione, e quella del vescovo della città.
Si intravede in tale “filtro spazzatura” una classificazione della popolazione: la gente comune non solo si vede le strade ricolme di lordura e puzza, ma non riesce neanche a mandare i bambini a scuola, a uscire di casa, ad aprire il proprio negozio, insomma non riesce a vivere serenamente la propria quotidianità. E’ quindi in atto una nuova forma della “raccolta differenziata” di cui si parla tanto:
una raccolta tale che in certe zone la spazzatura viene raccolta e trasportata altrove, mentre in altre si confonde con la gente. Non solo: quest’ultima si vede obbligata dallo stato ad accogliere dietro casa la “munnezza” di tutti rischiando la pelle. Come se la vita di alcuni valesse meno di quella di altri, i quali, a proposito, sono responsabili della vita dei primi …

mercoledì 6 febbraio 2008

Per un pugno di coriandoli

Ci vuole così poco a far felice un bambino:
una bella manciata di coriandoli in mano, un attimo di sospensione, uno scambio di sguardi di attesa, e poi:
“Pronti, partenza, … viaaaaa!!!”,
il pugno di coriandoli vola verso l’alto compatto, per poi disintegrarsi nella caduta trasformandosi in una lenta pioggia colorata che ci avvolge silenziosa, mentre il bambino urla eccitato.
“Ancora, ancora!”,
e via con un nuovo pugno di coriandoli.
Come sono belle le gioie dei bambini, così semplici e pur così intense.

lunedì 4 febbraio 2008

Un sogno pasoliniano

Ho fatto un sogno:

grandi capi mai visti in faccia, sempre a bordo di un elicottero in volo, ci fanno un regalo, a noi semplici cittadini insoddisfatti e frustrati dalle avversità quotidiane:
lavori stressanti e sottopagati, case piccole e vecchie, quartieri senza verde, aria cattiva, niente spazio e tempo per gli svaghi, …
Ci radunano tutti nella piazzola del quartiere, e una specie di guida con tanto di ombrellino colorato e elenco di tutti noi ci invita a seguirlo; camminando camminando in questa folta processione, usciamo dalla città e ci ritroviamo in mezzo a un paesaggio collinare, il prato curato, qualche albero qua e là, sembra di essere in una rappresentazione della natura toscana. All’improvviso, ecco che appare un agglomerato di casette di tre piani al massimo, intorno un giardino ricco di fiori colorati, una grande piscina condivisa, attrezzata con sdraio e ombrelloni, un angolo giochi per i bimbi, una palestra con tutte le attrezzature possibili, un campo da tennis, il cinema, il teatro, ed un’area bar/ristoranti dove passare le serate. E poi il supermarket, negozietti di abbigliamento, il parrucchiere, il negozio di giocattoli per i bimbi e tutti i servizi che servono, in questo spazio pieno di grazia, perfetto, colorato, stile “Truman Show”.
Veniamo a sapere che non siamo i soli fortunati: anche gli altri abitanti della città, della provincia, della regione, della nazione, … sono stati convogliati a gruppi verso queste oasi di benessere, tutte uguali fra loro, dove ciascuno ha la propria collocazione, il proprio posto di lavoro, il proprio posto al cinema. Il sogno si dissolve nella veglia mentre ancora sto guardando queste palazzine perfette, persa tra la folla, per poi voltarmi a fissare quell’elicottero che vola alto, distante, ma in realtà così vicino.
Apro gli occhi, e mi vengono in mente le parole di Pasolini, sulla perdita di identità dell’uomo moderno, uniformato, appiattito, privato dell’anima da questa società del benessere, dove viaggiamo tutti nella stessa direzione, aspiriamo tutti alle stesse cose, abbiamo le case tutte uguali arredate con gli stessi mobili, mangiamo tutti lo stesso hamburger, guardiamo gli stessi format televisivi, ascoltiamo la stessa musica: abbiamo perso le nostre caratteristiche peculiari, il nostro io più profondo, siamo come gocce nel mare, tutte uguali, indistinguibili.
Il mondo sognato non esiste, è vero, ma forse, in realtà c’è, latente, e quindi più subdolo, implicito: siamo già intrappolati, ma non lo sappiamo.

venerdì 1 febbraio 2008

Integrazione perfetta

Tempo fa, una sera, sia io che mio marito finimmo tardi di lavorare, intorno alle 22; non ci andava proprio, a quell’ora, di metterci ai fornelli una volta tornati a casa, fu così che andammo in una pizzeria in zona Eur, vicino alla sede di lavoro.
Come spesso succede, il pizzettaro poteva essere indiano o bengalese, come pure i camerieri e il gestore; molto mi colpì quest’ultimo, giovane sui trent’anni con un paio di occhialoni dalla montatura massiccia e un po’ datata posata su un viso dalla carnagione molto scura, gli occhi neri profondi, splendenti, tipici degli indiani. Si mise a chiacchierare con noi, all’uscita, col suo italiano marcato da un forte accento “subcontinentale”.
Ricorderò sempre le sue parole:
“Eh si, non si può più andare in giro sicuri, qui a Roma; gente che ti scippa, ti mena per pochi euro, che rapina le banche, ruba nelle case, … non se ne può più, e la questione è una sola: in giro ci sono troppi extracomunitari!”.